Pubblicato il 07 Lug 2006
Sono quasi le due del pomeriggio di questo mercoledi di fine Agosto.
É da mezzogiorno che me ne stò steso nel letto della stanza più fresca a Solanas.
Sono stanco dall’uscita in montagna in bici.
Fuori fa un caldo cane e non tira un filo d ‘aria. Di star a boccheggiar in spiaggia non se ne parla. Meglio riposare.
Magari dopo mangio. Per ora preferisco questo dormiveglia ( in sardo : abuliggiamento ). Percepisco qualcosa che mi scuote dal torpore.
Nella penombra della stanza vedo giochi di luce provenienti dalla finestra abbassata e rumori incerti.
Salto dal letto.
É solo un presentimento ma cerco l’uscita.
Apro la porta di casa e un mare di luce mi abbaglia . Fuori tutto si scuote : gli eucaliptus sono piegati da un vento caldo e forte che fa volare miriadi di foglie e pezzi di corteccia vecchia.
Mi risveglio del tutto in un attimo.
All’improvviso torpore e stanchezza svaniscono e l’unica cosa che mi preme sapere é che vento sia.
Non mi sembra maestrale, l’ora e il modo non sono quelli. Salto scalzo sulla mountain bike e corro a vedere la spiaggia.
Che spettacolo!
Una libecciata in piena regola. Vento forte frontale alla baia e onde gonfie e lunghe.
I bagnanti e i vacanzieri di turno sono terrorizzati di fronte alle loro cose che prendono il volo . Sabbia e acqua vengono concentrati dal vento nell’ aria e sicuramente in questo momento devo essere l’unico pazzo di gioia.
Rapidamente torno a casa .
Scarico dal carrello la tavola da slalom e la vela da 6 metri che avevo usato il giorno prima per tre ore buone a planare onde di levante.
Questa di oggi è però altra roba. Per fortuna la tavola da Wave e la Simmer da 5 metri è a portata di mano. Carico tutto il più in fretta possibile, un ultima entrata dentro casa per infilarmi i Sundek, passando a fianco al tavolo prendo il panino e una birra dal frigo.
Saluto Efisia che che sa benissimo che col vento che c’è è inutile dilungarsi oltre. Mastico il panino e bevo in fretta mentre a grandi passi tiro verso la spiaggia.
Che colpo d’occhio!
Cupe onde e vento sibilante levigano la superficie del mare mandando in aria miriadi di spruzzi. Armo con metodo e senza furia la vela, facendo ben attenzione anche ai più semplici particolari. Scotte ben strozzate, un ultima controllata al piede d’albero e via verso la riva.
Questa è in realtà ormai un confuso arenile dove si abbattono con forza onde sempre più alte e potenti.
Gli ormai rari turisti sono disorientati e un pò spaventati, e comunque ben lontani dalla battigia. Controllo la sequenza di queste onde e poi nell’attimo favorevole via senza indugi, verso il largo. La tavola all’inizio è pigra ed indecisa.
Procede incerta e con poco abbrivio in questo vortice d’acqua e di vento.
Poi, sotto le sferzate del vento e aprendo finalmente la necessaria bolina eccola finalmente planare decisa.
Davanti non ho un orizzonte ma una teoria di masse d’acqua color smeraldo che si inseguono . Io gli vado incontro e l’attenzione maggiore consiste nel non arrivarci a velocità piena perchè sul tetto di queste il vento raddoppia e l’inevitabile decollo mi metterebbe in situazioni molto incerte da gestire in mezzo a questa bufera. Ciononostante salto da una gobba all’altra come un grillo e con i piedi ho il mio bel daffare per tenere in assetto la tavola.
Che fila via , e come un razzo lascia dietro una lunga scia che taglia di traverso per un centinaio di metri le onde.
La baia di Solanas è lunga 1320 metri eppure, ora mi sembra più piccola, con queste onde altissime che la scuotono e la distanza da una scogliera all’altra che si accorcia in un attimo.
La tavola plana nelle onde che è una bellezza, mi pare di essere velocissimo.
Ma un pesce volante mi parte alle spalle sparato dal mare e dal vento Mi passa di fianco e mi supera tuffandosi dentro l’onda che mi precede.
C’è sempre chi sa far meglio di te.
Le strambate le faccio a ridosso delle scogliere. Li non puoi permetterti di sbagliar manovre perchè ripartire dall’acqua è un bel rebus.
Dalla terrazza dell’albergo sulla scogliera una decina di suore sono affacciate e osservano certamente con curiosità e apprensione. Sono tutte mie fans. Questo l’ho saputo perchè me lo aveva confidato un giorno una di loro che era venuta da me a curarsi un dente.
Che fra l’altro poi gli tolsi.
Strambare non è mica una cosa da prendere alla leggera. Devi scegliere l’onda giusta. Solitamente la individui una cinquantina di metri prima. Poi ci vai sopra e quindi cominci a seguirla lasciando che la tavola ci scorra liberamente sopra. A questo punto vela e vento non centrano piu nulla. Sono il movimento delle gambe e dei piedi che decidono tutto. E l’equilibrio sulla tavola mentre questa gira e plana veloce.
La vela stramba al momento opportuno praticamente automaticamente e via di nuovo in velocità a caccia di altre onde. A pieno bordo senti possente la forza del vento che ti trasmette la velocità sulla tavola.
Questa è la vecchia cara Fabbri dell’87. Lunga 260 cm e fatta apposta per questo mare.
Al giorno d’oggi certamente si trovano già pronte in commercio bei surf più leggeri e forse più veloci.
Ma questa è la mia tavola. Fatta per me tanti anni fa e quando il mare diventa roba per solitari mi fido sempre solo di lei.
La rottura di una cima di trapezio sul boma è improvvisa ma riesco comunque a tenere con le braccia. Cambio mure per riposarmi e poi plano tagliando onde altissime verso riva. Il vento mi spara in spiaggia e messo al sicuro il surf vado a cercare una scotta. Dovrei averne di legate sul carrello. Infatti ne trovo una che va bene e torno subito per sistemarla a misura.
Trovo accanto alla tavola un turista che deve aver osservato le precedenti evoluzioni sul mare.
Esprime ammirazione e meraviglia per il surf . Dall’accento sembra brianzolo.
Dice che vorrebbe prendere lezioni da qualche parte. Mentre mi accingo a ributtarmi nel calderone gli spiego che mica è una moto d’acqua che salti e vai .
Qui bisogna essere indigeni e...applicarsi almeno un decennio.
E si , non si diventa così sciacalli col surf se non vivi al mare.
Comunque vado ancora a battagliare fra onde e vento e solo quando un pò di fatica comincia ad accompagnare i momenti cruciali decido che non è il caso di rischiare oltre. Infine plano per un ultima volta, stavolta verso la spiaggia.
Mi stendo a fianco del surf sulla sabbia calda ad osservare lo spettacolo del mare in burrasca. Sono soddisfatto e felice.
Grazie ai miei intensi allenamenti off-road con la bici che mi impegnano praticamente tutto l’anno ,non è certo la condizione fisica a mancarmi.
Dopo tanto rischiare in mezzo al mare decido di giocare un pò vicino a riva con la sola tavola.
Rimedio dopo una promettente planata una caduta proprio nei bassifondi a pochi metri dalla battigia ed è così che quasi mi gioco una caviglia.
Più tardi arrivano anche Efisia con Nina. Io sono seduto sulla tavola e le vedo arrivare da lontano. Torno a riva e saluto. “ ecco tuo padre “ dice Efisia rivolta a Nina con tono sarcastico. Prendo la bimba e lei subito a succhiarmi sulla spalla. Le piace da matti il sapore del sale.