Pubblicato il 02 Mar 2010
Finalmente sono a casa. Per la prima volta in tanti anni che ho partecipato all'Iron Bike ci torno pressochè integro e senza nemmeno una frattura. Scorrendo il film dei ricordi dei giorni passati fra le montagne italo francesi questo fatto mi sembra incredibile.Quante cadute mi sono preso infatti.. e quante le ho schivate di un pelo...
Come mi è andata questa edizione ?
Se dovessi fare una valutazione guardando gli sterili numeri della classifica direi che peggio di così non mi era mai capìtato : finire intorno alla venticinquesima posizione finale per me sarebbe infatti come un segnale di palese declino agonistico. Invece mi sento di dire che proprio quest'anno ho corso forse la .
miglior mia Iron Bike, è il fatto che sia stato raggiunto da un incredibile sequenza di fatti sfortunati non mi hanno tolto la forza e la volontà di far bene.
Quanti avrebbero fatto tre tappe, fra cui le due durissime in Francia con la forcella rotta e la ruota frenata rimanendo in ottava posizione assoluta o sarebbero ripartiti il giorno dopo essersi presi una brutta congestione in corsa ?
Sono riuscito a superare momenti diventati per me veramente difficili e questo mi riempie di soddisfazione stemperando la delusione della classifica finale.
Ma come è stata questa Iron Bike ?
Anticipo subito per evitare equivoci che è stata durissima.
Ormai la consuetudine degli organizzatori di alzare ogni anno la tacca dell'asticella "da saltare " ci ha portato ad affrontare percorsi sempre più lunghi e difficili da percorrere stando nei tempi imposti. Per la gran parte dei partecipanti si è trattato di fare una impresa spesso superiore alle loro umane possibilità. Eppure in tanti sono riusciti a superare i limiti loro conosciuti.
Non eravamo tirati comunque solo noi corridori. Anche chi stava infatti dalla parte dell'organizzazione ha passato una settimana da tregenda. Che dire per esempio dei motociclisti che ogni giorno riuscivano a passare chissà come nei luoghi più incredibili per poter garantire segnaletica adeguata e assistenza ?
Senza di loro l'Iron Bike non esisterebbe, semplicemente perchè sarebbe impossibile fare il loro lavoro con altri mezzi.
Nei luoghi più alti dei percorsi infatti o ho ci arrivi con la moto (se la sai usare più che bene) oppure con l'elicottero. Solo che con questo non puoi scendere a tracciare le mulattiere...
E le ragazze che per una settimana ci hanno affettato pane e ingollato pasta fino alla nausea? Potevano andarsene anche loro come tante altre coetanee in riviera invece eccole anche loro alla fine del raid con gli occhi gonfi per le tante giornate passate sotto stress.
Uno che come tutti gli anni si prende dei rischi molto superiori a tutti gli altri, corridori compresi è il cameramen addetto a catturare le preziose immagini di questo evento.
Sempre appeso fuori da una moto da cross o un elicottero da l'impressione immediata che la sua carriera debba essere per forza brevissima... ( l'ho visto personalmente due anni fa mentre precipitava al suolo con l'elicottero che andava in mille pezzi e il suo istinto era quello di salvare la preziosa telecamera ) .
Fatte queste premesse nei giorni prossimi aggiornerò questa pagina descrivendo la corsa tappa per tappa e facendovi rivivere quelle sensazioni che ci sono solo nell'Iron Bike...
Prologo a Saluzzo.
Come sempre ci ritroviamo in quel di Saluzzo presso un centro sportivo per regolarizzare le iscrizioni e prendere i numeri. All'interno di un campo di calcio cominciamo subito dopo a piantare i picchetti delle tende. Nell'ordine dovremo assistere al primo breefing che ci spiegherà la tappa del giorno sucessivo. Per il prologo di stanotte invece, c'è poco da dire : tirare per tre giri fatti fra le strade e le scalinate medioevali del centro storico. Pronti via tutti insieme e, per avere un ordine di partenza l'indomani si prenderanno le posizioni fino al decimo di categoria. Da li in poi il tempo dato, e quindi anche l'ordine di partenza sarà casuale.
Come sempre all'ora del breefing si scatena il solito diluvio.
La mia tenda, prestatami da Raffaele comincia a imbarcare acqua e per niente intenzionato a rimaner a sgottare cerco il solito rifugio alternativo. Intravedo il deposito atrezzi del campo , una casupola fatta di lamiere. La porta è apribile e in breve trasloco le mie cose dentro. Spostando una motozappa e un tosaerba riesco a far stare stuoino e sacco a pelo.Il resto dei bagagli resta sparpagliato od appeso in modo più o meno incerto fra gli atrezzi depositati.C'è di tutto e forse anche una tana di topi, ma è sempre meglio della pioggia li fuori.
Comunque, quando dopo le nove di sera siamo allineati nella piazza di Saluzzo per dar inizio al prologo, il cielo è di nuovo terso ed il gran caldo dell'aria fa evaporare velocemente gli esiti del fugace aquazzone. Meno male, pavè e scalinate non sono il massimo da affrontare se viscide specie in discesa...
Allo start vado via subito con un gruppo di bikers. Alcuni corrono in coppia, lo si capisce dal fatto che stanno vicini e non cercano di distanziarsi. Alla prima salita che si arrampica nella parte alta del quartiere vado via e mi ritrovo praticamente solitario ad affrontare le prime irte scalinate che portano di nuovo verso la parte bassa del circuito. Tanta gente è li a godersi lo spettacolo delle bici che si tuffano a capofitto fra vicoli e stradine d'altri tempi. Poi sbaglio un bivio e nella manovra di rientro vengo superato. Non sono molto preoccupato ed attendo l'inizio del secondo giro per recuperare lo svantaggio. La scalinata più lunga a scendere è quella intermedia, I gradini sono fatti con lastre di pietra lavorate e messe in modo che possano fare anche da scolo verso il centro delle acque piovane. Nell'insieme formano una sorta di tole ondulè in discesa molto accentuato. Ci vogliono colpo d'occhio, braccia buone e forcella efficiente quando scendi.
Proprio questa mi tradisce. Lo capirò alla fine del volo che rimedierò all'improvviso. Il pubblico emette un esclamazione unisona nel vedermi apparire testa in giù improvvisamente alla fine della lunga scalinata. La bici mi raggiunge ribaltata poco dopo. Riparto tutto pesto dopo aver rimesso velocemente in ordine la catena e continuerò per il giro finale senza alcun intenzione di concedere il bis, quindi finirò calmo al secondo posto. Finito il prologo un rapido controllo mi rivela che la forcella ha collassato all'improvviso, perdendo la pressione dell'aria necessaria al suo funzionamento.
Al campo con la pompa predisposta gli ridò vigore e sembra che tenga, ma mi infilo nel sacco a pelo con i pensieri attanagliati da cupi presagi..
Prima tappa Saluzzo- S.Damiano
La mattina dopo il cielo è terso ed è chiaro che promette caldo africano.
la partenza , come sempre sarà dal centro di Saluzzo e di li si comincia ad arrampicare per colli e vallate fino alla fine della prima prova, una ventina di km. più in là. Dopo un trasferimento di un oretta ci si impegnerà nel secondo tratto cronometrato che ci porterà a S. Damiano, circa altri venti km. Un totale di tappa quindi di una sessantina di km. Praticamente, nell'ottica Iron Bike,oggi ci tocca solo una sana sgranchita alle gambe.
Essendo davanti in classifica parto fra gli ultimi che sono già passate le undici. Il terreno lo conosco già, la prova è la stessa degli anni scorsi. Imposto un ritmo regolare senza esagerare a tirare rapporti lunghi. Anche se stò bene mi rendo conto che ancora siamo solo agli inizi e che, comunque vada, queste brevi prove speciali finiranno per non essere certo quelle discriminanti nell'ottica della classifica finale. Certo che coomunque occorre cominciar bene, per cui non è certo l'impegno a mancare. Nel fardello di materiali che mi porto dietro nello zainetto vi è pure la pompa di pressione della forcella, visto quanto accaduto la notte precedente.
Di tutto ciò che mi sono portato dietro questo oggetto sarà quello che poi utilizzerò di più, almeno fino a che servirà a qualcosa. In seguito la forcella cederà completamente e non ci sarà pompa al mondo che la possa resuscitare.
Il primo sospetto che stessi andando verso lo scatorciamento mi viene alla fine della prima prova. Mentre tutti si ammassano come corvi presso i banchi del ristoro, accaldati, affamati ed assetati io stò invece ad armeggiare preoccupato sulla forcella di nuovo miseramente a pacco senza aria negli steli.
Mi spiego così il repentino ribaltamento in staccata in uno degli ultimi tornanti in discesa della prova speciale. In curva ci sono arrivato prima io. La bici dopo con un certo ritardo..
Comunque poi vedrò che in questa prova staccherò il quarto tempo assoluto, che non è malissimo.
Inizia quindi il tratto " in trasferimento " che significa che sempre pedalare ed in fretta devi, ma non hai il cronometro dei giudici che ti centellina i secondi che impieghi. Devi stare peò entro dei tempi imposti che in questa gara non saranno mai studiati per farti tirare il fiato.La seconda prova , affrontata sotto un sole rovente ci porta dopo un iniziale tratto di tornanti in salita prima sotto bosco e poi implacabilmente allo scoperto in un a zona intervallata da ripide salite e scorrevoli discese da guidare con prudenza. La forcella mi comincia a preoccupare perchè va a fine corsa per un nulla emettendo sinistri scricchiolii.Non forzo in tutta la seconda parte della speciale che pure è molto bella. La carrareccia si snoda sempre diversa premiando una guida decisa fatta di pedalate potenti, sempre con rapporti lunghi.Fortuna che gli ultimi km.di discesa sono rappresentati da una strada regolare e dal fondo buono ed inghiaiato, perchè ho l'avantreno a livello di relitto.
All'arrivo a S. Damiano tiro un sospiro di sollievo, anche se so quanto effimero possa essere questo. Come farò per l'indomani?
A questo penso mentre ceno all'interno di un ristorantino di S. Damiano in compagnia di Raffaele e altri Iron Bikers. Il tavolo è gia ingombro di bottiglie di birra vuote,Sulla parete vi è un calendario dato certamente dall'organizzazione e ironicamente la foto a corollario del mese di Luglio è quella del mio amico Samuele Pisu, immortalato bici in spalla fra i ghiacciai del Maurin due anni fà. Porta la maglia di Leader e mi sa che quella è stata l'ultima volta che se l'è messa un italiano. ( in questo caso un Sardo-piemontese...) Mentre osservo sconsolato la foto non posso esimermi da fare qualche battuta da caserma : la forcella me l'ha messa a punto lui...
Quando lo sentirò al telefono come per consolarmi mi dirà : e ti lamenti per così poco zio...cosa vuoi che sia una forcella rotta per te che sei anche abituato alla forcella rigida.. cammina e non cercare scuse...
2 tappa S. Damiano- Forte Roche la Croix
La notte l'ho passata all'aperto dentro il sacco a pelo. Il cielo era incerto e , non volendomi montare la tenda tutta la roba l'ho lasciata all'interno della palestra del paese, dove gran parte dei bikers avevano oltretutto preferito dormire. Sulle prime anch'io ero li dentro ma poi , causa l'inevitabile trambusto generatosi ho preferito rischiare di prendermi la pioggia dormendo fuori. Li dentro rumoreggiavano di davanti e di dietro...
Si parte presto stavolta. Ci sono in ballo 130 km che detti così lascerebbero ancora indifferenti. Il fatto è che si deve scalare il passo del Maurin, poi quello di Vars , fare un'ulteriore ascesa in Francia fino ad arrivare ad una misteriosa galleria , il famigerato tunnel del Parpillon, lungo oltre 400 metri accreditato di temperature al suo interno anche di 20 gradi al di sotto di quella esterna.Quindi picchiata verso la valle dell'Ubaye e quindi ancora risalita verso il forte francese di Roche la Croix. A me questa tappa che in parte feci simile due anni fa evoca foschi ricordi. Infatti a parte la fatica che feci mi fratturai pure una costola cadendo nelle mulattiere finali in discesa e arrivai alla fine al forte stravolto dalla fatica e dai dolori. Mancò poco a ritirarmi il giorno dopo e comunque continuai il resto dell'Iron Bike a regime di calvario.
La mattina nella linea di partenza siamo un gruppo di 5 . Dobbiamo fare i primi 35 km di trasferimento in asfalto a salire verso l'inizio della prima prova : l'ascesa del Maurin con relativa picchiata verso il basso in terra di Francia :Il mio unico pensiero mentre pedalo in asfalto in gruppo (la collaborazione non è delle più fraterne )è di non rovinarmi troppo specie nelle discese finali, che mi ricordo come da prendere con prudenza. Inoltre la salita del Maurin in parte è pedalabile ma poi si trasforma in una ripida mulattiera e li devi aver pazienza e gambe da alpino perchè la bici la dovrai inesorabilmente portare in spalla. Per un oretta almeno.
Essendo sempre oltre i 2000 metri so bene di non poter tirare come d'abitudine, per cui quando allo start sono appaiato da Mauro Canale e da Murara e questi dopo un pò allungano il passo io mi guardo bene da fare altrettanto, rimango regolare senza forzare: troppo spesso sono rimasto tradito dall'altitudine, ed oggi la tappa è lunga e soprattutto non voglio fare la fine della volta precedente di due anni fa quando entrai in crisi proprio nelle salite.Stavolta mi sa che stò decisamente meglio , risalgo infatti la carrareccia che poi si trasforma in sentiero in modo agile e senza affanni, superando molti concorrenti partiti prima. Naturalmente di Murara e Canale però nemmeno l'ombra, sono saliti su come sparati da una fionda. I tratti con la bici in spalla mi vengono altrettanto facili da affrontare ed in breve arrivo a scollinare il Maurin quasi senza riconoscerlo : l'avevo sempre visto con neve e ghiaccio ma stavolta lo scavalco pedalando su un liscio sentiero che poi inizia a scendere. Si vede che quest'anno ha fatto gran caldo anche da queste parti.
La discesa ugualmente la trovo meno brutta di come me la ricordavo. Non fosse per la forcella che comicia a dare i suoi primi fine corsa anomali mi divertirei pure. Cerco di trovare le traiettorie migliori nel dedalo di sentieri che scendono a fondo valle. Molti sono formati dal passaggio di animali, altri dalle acque che refluano dalle vette.Ognuno cerca di interpretare al meglio. Io dò uno sguardo lontano verso chi mi precede.Da come scendono cerco di intuire il passaggio migliore. La forcella è completamente k.o. e devo fare attenzione anche agli ostacoli più insignificanti. Peccato che qui la pietra più piccola sia comunque della dimensioni di una noce di cocco. Riuscirò per fortuna ad arrivare integro alla fine della prova speciale. Sono riuscito a cadere ribaltandomi in avanti infatti solo una decina di volte.
Allo stop vi è pure il ristoro a cui tutti attingiamo a a piene mani.Pane , marmellata, banane, frutta secca e gran bevuta d'acqua e coca cola. Alla ripartenza abbiamo lo stomaco pieno come otri. Ho dato una ricarica d'aria alla forcella con la pompa ma sono sconsolato perchè so che rimarrà in piedi per poco. Il resto della tappa non prevede altre prove a cronometro ma il tempo imposto di 8 ore per finirla è di quelli che lasciano poche interpretazioni : o vai a tutta o paghi pegno. Per cui con passo celere mi avvio verso Vars. Una serie di ripide salite preliminari ci portano poi alla fine al passo di Vars che scolliniamo in asfalto sotto un sole rovente. Il sudore mi scende a rigagnoli dal casco, va a finire sul numero di gara per poi evaporare in un attimo..A Vars è previsto salire su di una seggiovia che ci regala 500 metri di risalita. Poi ancora a salire su di un incerta carrareccia e, ciliegina sulla torta una ridiscesa selvaggia per dei crinali di una montagna nuda senza neppure l'ombra di un sentiero o di una traccia. Si salta di roccia in roccia guardando verso il basso alla ricerca di una fine a tutto ciò. Le scarpe scricchiolano e le ginocchia pure. Facile rimediare una storta o peggio. Occorre stare attenti. Come per tutte le cose anche questa astratta discesa ha una fine che si materializza in un sentiero pedalabile che si apre in un fondovalle. Al capolinea il gazebo dell'organizzazione, : altro ristoro preso d'assalto in modo famelico dai bikers arrivati finora. Mangiare perdendo il minor tempo possibile è una tecnica affinata come il pedalare stesso : C'è gente che ingoia pezzi di pane, banane e fette d'anguria con la velocità di un kaimano. Serrano le poderose mascelle per un attimo e deglutiscono e subito sono pronti per il nuovo boccone..
Si risale quindi verso il tunnel del Parpillon che dovremmo incontrare dopo una salita ininterrotta di circa 13 km.
Mi ritrovo molto bene con le gambe a risalire lungo questi tornanti. La forcella è accucciata a regime di fine corsa e ogni tanto la gomma anteriore tampona frenandosi sulla piastra ma trovo il modo perchè questo avvenga il meno possibile. Non basta la salita, ci manca pure che la bici si inchiodi.
Contando i km. che lentamente scorrono verso l'alto finalmente arrivo in compagnia di uno spagnolo all'imboccatura del tunnel del Parpillon. Nell'ora precedente ho superato con il passo buono diversi bikers ansimanti in salita.
Il tempo ora ha girato. Da un pezzo il sole è scomparso e una fine nebbia ci avvolge. L'aria è rinfrescata di molto e si odono tuoni che sembrano cannonate.
Per fortuna vi è qualcuno dell'organizzazione che ci dà una mantellina di tipo militare per proteggerci dal freddo che incombe dentro l'oscuro tunnel che ci si para davanti. Sembra l'entrata dell'inferno. Entriamo io e lo spagnolo che ha una piccola luce sul casco ( previdente ). fatti pochi metri il buio ci accoglie e mi trovo a pedalare quasi alla cieca. Non riconosco destra , sinistra alto e basso. dal rumore e dall'acqua nelle gambe percepisco che passiamo sopra delle gran pozze d'acqua poi finalmente una lucina lontana ci indica la fine del tunnel. Sorpresa ! non c'è più il mio numero di gara.. sono entrato con il numero e ne sono uscito senza, fuori intanto comincia a piovere di brutto e non mi resta che buttarmia capofitto verso valle giù per i tornanti sperando che ain basso il tempo migliori. Pia illusione, più si scende e più aumenta l'intensità della pioggia. Fa pure molto freddo, roba da rimaner congelati, fortuna che abbiamo le mantelline che ci siamo tenuti anche per scendere. Io e lo spagnolo sembriamo degli spaventapasseri sulla bici, con queste cose drappeggianti al vento. Arrivo alla fine a fondo valle . La pioggia è sempre intensa. Dopo pochi km. d'asfalto trovo il bivio per il forte : mancano poco meno di 8 km di salita per finire la tappa. Stranamente mi trovo in perfetta forma e per niente affaticato. La pioggia deve avermi svegliato. Salgo quindi con il passo buono salutando lo spagnolo nei primi tornanti , di li a poco supero Mauro Canale che è in crisi piena. Il povero Mauro si è preso una congestione o qualcosa di simile. Il giorno dopo non partirà. Arrivo quindi su al forte senza affanni di sorta. Tutta un altra musica rispetto a due anni addietro, quando vi arrivai strisciando dalla fatica. Ha pure smesso di piovere...
Stò sotto la doccia bollente organizzata dallo staff fino a spellarmi la schiena. Sono riusciti a portar fin lassù delle cisterne d'acqua . Con delle idropulitrici montate all'interno di un caposaldo di cemento armato ne vien fuori un sevizio con i fiocchi. Visto che ancora è arrivata poca gente ne approfitto andando per le lunghe. Quindi recupero un piatto e me lo faccio riempire fino all'orlo di riso e con questo in mano vado in cerca di Salvatore, il massaggiatore. Lo trovo accampato con tutte le sue cose all'interno della fortezza, in uno stanzone semi diroccato. Sui muri scritte ovunque, slogan da caserma e frasi turpi in tutte le lingue accavvallatesi nel tempo. C'è pure :W la fig...
provo ad assaggiare la pietanza ma questa si stacca in un unico blocco dal piatto, unita al cucchiaio. Allora ci mordo sù ma mi sembra di masticare un copertone esausto : le papille gustative non riescono a percepire nulla e il mio palato rinsecchito da oltre 8 ore di corsa non riesce a deglutire l'amorfa sbobba.
Alla fine butto via tutto nella sacca del rusco preparata da Salvatore all'entrata del casermone e mi affido alle sue cure.
Con fare preciso mi tira muscoli e tendini pestati ed affaticati dall'intensa giornata. L'acido lattico accumulato viene spremuto via con gesti esperti e sicuri, anche se sembra che stai li a prender randellate. Io intanto osservo i bikers che continuano ad arrivare. A notte fatta ci sarà ancora qualche ritardatario. Intanto ricomincia a piovere e appare chiaro che la prossima impellente necessità sia quella di trovarsi un angolo dove accuciarsi per passar la notte che si preannuncia abbastanza tempestosa. Nom ho la minima intenzione di ammainare quello straccio di tenda che ho dietro.Velocemente faccio una ricognizione e scovo una costruzione in cemento armato defilata, con una piccola feritoria al centro : doveva essere un nido per mitragliarice. D'un balzo mi infilo dentro senza fatica : essere piccoli comporta sempre dei vantaggi. L'interno è poco illuminato ma con la luce frontale non ho nessun problema a farmi un rapido quadro. Il fondo è asciutto anche se pieno di detriti accumulatisi negli anni. dal terreno spunta anche uno stivale militare accartocciato dall'umidità. Lo rivolto e istintivamente ci guardo dentro per vedere se c'è pure l'osso...
Tutta la zona che sovrasta la vallata dell'Ubaye è caratterizzata dalla presenza di fortificazioni . Si iniziò a farle alla fine dell'ottocento, come conseguenza dell'alleanza dell'Italia con Austria e Germania ( triplice alleanza ). La Francia diventò quindi un potenziale nemico. Più in alto di tutto, vi è la postazione di Viraisse a quasi 3000 metri, Poi più in giù seguono svariate fortificazioni e quello de la Croix dove ci troviamo noi ora accampati è il più possente . Articolato su più piani la gran parte scavati nella roccia rappresenta quello che all'epoca della sua costruzione ( a cavallo delle due guerre mondiali ) doveva essere l'esempio della perfezione delle conoscenze balistiche e del cemento armato. Negli intenti dei costruttori francesi la fortezza sarebbe dovuta essere inattaccabile ed inespugnabile, con tutti i suoi bunker sigillati e i suoi congegni di mira e tiro dei cannoni comandati a distanza da motori elettrici. Nei fatti andò a finire diversamente. Senza neppure sparare praticamente un colpo il forte passo di mano rapidamente ai nemici prima italiani e poi tedeschi per effetto della guerra perduta su tutti altri fronti.
Ora questi bunker ci proteggono almeno dalla pioggia che durante la notte scende copiosa. Ampi lampi squarciano il buio e la vallata è scossa dal brontolio dei tuoni. La cena a base di minestrone di legumi e carne l'ho rapidamente consumata con tutti gli arrivati di tappa dentro uno dei bunker principali. Rifarmi il numero perduto è stato affare da poco. Non c'era che l'imbarazzo della scelta a prelevare la tabella da una bici di chi voleva abbandonare. Cesare Giraudo cominciava finalmente a sfregarsi le mani soddisfatto...
terza tappa Roche La Croix-Barge
L'alba spunta promettendo una giornata radiosa. Il cielo è limpido e sembra voler far ben sperare. Anche oggi si parte presto e il trambusto che arriva da fuori è notevole. Avvinghiato al sacco a pelo dentro il mio bunker personale mi guardo bene dall'alzarmi. Fossi matto, sono fra gli ultimi a partire, passerà almeno un ora e mezza dai ritardatari che saranno fatti partire per primi prima che mi tocchi. Triste il destino di quelli in coda alla classifica,: ultimi ad arrivare, primi a partire, ..per loro praticamente la giornata trascorre tutta sulla bici..
Quando alla fine vengo via e vado a cercar qualcosa da mangiare non troverò però praticamente più nulla : alle cucine da campo si sono mangiato tutto ciò che di commestibile era a portata di mascelle.Riuscirò con difficoltà a recuperare qualche pezzo di pane finito nelle pieghe dei tavoli e una mezza scodella di caffè freddo annacquato.
Fatti e consegnati i bagagli mi concentro sulla bici. Non fosse per la forcella tutto il resto è a posto. Non la lavo dalla partenza e mi guardo bene dal farlo ora. Una buona lubrificata alla trasmissione è tutto.
Anche oggi la tappa è lunga e stavolta le speciali sono due di cui la prima di oltre 70 km. Dovremo risalire la carrareccia che porta verso Viraisse e poi da li picchiare verso la vallata di P.te Serène. Qui ci arrivi su di una lunga mulattiera a scendere che non mi è mai piaciuta.Mentre risalgo per i tornanti di Viraisse con buon passo penso a cosa accadrà nella seguente ascesa , fra i sassi e le radici di questo lunghissimo sentiero. La forcella l'ho gonfiata fino a bloccarla , ma quanto durerà così ? Le prime irte discese mi diranno : molto poco !. In breve siamo di nuovo alle solite, anzi pare che il tutto possa peggiorare ulteriormente, la gomma anteriore raspa continuamente sul fine corsa e si blocca spesso. Catapulto in avanti in continuazione. Alla fine sono stanco di sbatter su sassi e alberi in corsa. Mi superano facilmente molti di quelli che prima avevo ripreso facilmente salendo a Viraisse. Mi passa pure Sandra Klomp ma almeno lei è sempre sorridente.Quando atrrivo finalmente alla fine della discesa davanti non ho più un componente importante per la bici che è la forcella ma un rottame. Anche la gomma è tristemente stacchettata e si vedono ampi strati di tela scoperta.é proprio il caso di dire che corro sulle tele dei copertoni.Sono molto demoralizzato ma i seguenti 15 km di salita in asfalto se non altro riescono a ridarmi un pò di ritmo e morale. Riprendo molti dei corridori e nella risalite del monte Longet che segue per distrarre la mente dai problemi meccanici mi metterò a fare il conto di quanti ne supererò a piedi per le irte mulattiere che ci portano al passo sito a 2700 metri di altezza. ne passerò ancora ben 35, numero effimero perchè poi molti di questi mi riprenderanno nella terribile discesa che porta a Chianale, dove finalmente finirà questo tratto cronometrato.Mi fan male i piedi a furia di correre e saltare con la bici in spalla dove quasi tutti gli altri riescono a passare in bici ma non posso fare altrimenti. Se provo anch'io sui pedali mi storpio, e non ho nessuna intenzione di farmi recuperare dall'elicottero di soccorso e perdere così i cento euro di cauzione lasciati alla vigilia...Riesco comunque a ribaltare in un tornante e mi prendo una gran botta sul naso che comincia a sanguinare. Gli infermieri dell'ambulanza messa di lato alla fine della prova vorrebbero fermarmi per medicare il tutto ma il ristoro che si intravede giù in fondo è per me molto più attraente. Temendo di di trovar poco o nulla mi lancio verso di esso con previdente premura. Infatti li tutti stanno azzannando a piene ganasce.
Due anni fa la stessa tappa finiva praticamente qui, dopo alcuni km. rigorosamente in discesa fino a Casteldelfino. Quest'anno, per la solita storia dell'asticella messa " più in alto"il salto che ci tocca fare è ben più poderoso. Infatti ci mancano oltre 50 km con in mezzo la prova speciale che ci porta da Bercetto fino al famigerato colle del Prete, temuto più che altro per la seguente ridiscesa a valle, da farsi su una terribile carrareccia. Un fuoristrada che percorra anche solo una volta quella strada si ritrova alla fine come invecchiato di un paio d'anni. Comincio a scendere per la strada asfaltata che porta verso Castel delfino e poi ancora fino a Sampeyre. fa un caldo incredibile e anche se stò a pedalare in discesa mi sento fiacco e spompato. Il fatto è che sono tutto il giorno a tribolare e sapere che devo fare ancora una speciale con su tutto l'avantreno demolito mi deprime e mi preoccupa. Mi sa che la finisco definitivamente appiedato da qualche parte della montagna. Mi concentro pensando di far accadere ciò il più vicino possibile al traguardo. Arrivato a fondo valle il tempo cambia repentinamente. Prima alcuni fragorosi tuoni, quindi oscuramento del cielo e via con le cateratte che si aprono : una pioggia tropicale flagella tutta la zona. Risalgo verso Bercetto. I 5 km di salita sono fatti sotto una pioggia torrenziale . La temperatura dell'aria è però gradevole ed è come stare sotto una forte doccia calda. Mi tolgo il casco e mi faccio strigliare dalla pioggia battente. Dopo un intera giornata di polvere e sudore questa lavata ci voleva. All'arrivo del paese di Bercetto trovo i cronometristi e qualche corridore in attesa del via.
Cerco di resuscitare con la pompa la forcella ma non c'è nulla da fare. Parto così con la gomma attaccata alla testa della forcella, in posizione di fine corsa. Il primo tratto in salita devo fare attenzione a come imprimo le pedalate perchè la minima sollecitazione in avanti blocca la ruota. Quando inizia la discesa penso che veramente per quel che resta della forcella i minuti siano contati. Mi butto lascivo giù per i tornanti e le botte che prendo davanti sono feroci. Massi e canali infarciscono la strada peggio di come mi ricordassi. Non ci sono traiettorie migliori che ti salvino. Ogni colpo che prendo davanti dà l'impressione che debba essere l'ultimo. Arrivo invece giù alla valle miracolosamente ancora sui pedali. Per come sono andato giù deciso a farla finita sono stupito di non aver squarciato il copertone che stava ormai quasi sempre frenato su quel che è rimasto della forcella.Il cartello di fine prova è come una visione.Dovrò fare ancora una ventina di km prima del traguardo di tappa. La ruota frena e stride, ma ormai sono in asfalto ed è chiaro che arriverò comunque a Barge con i miei mezzi.
Infatti senza patemi finirò la tappa e assieme al recupero dei bagagli comincio a vedere cosa potrò fare per poter continuare questa Iron Bike. Chiaro che la forcella è al capolinea. Urge trovare qualcos'altro da mettere li davanti.Mentre monto la tenda pensando sul da farsi la salvezza si materializza con l'apparire di Daniele, un mio amico che abita in zona. Si attacca al telefono e comincia a chiamare da tutte le parti. Alla fine mi scova una forcella d'occasione. Mi sento risorgere.
La sera ceniamo tutti insieme in un locale grazie all'accoglienza del comune che ci ospita. Alla fine perfino i fuochi d'artificio in nostro onore : troppa grazia, penso mentre alla luce del faro mi monto la forcella novella,: roba di dieci anni fa ma comunque validissima. Quando finalmente sono dentro il sacco a pelo penso all'indomani : finalmente sento che potrò dire la mia.Mi addormento pieno di buoni propositi.
Quarta tappa : Barge- Torre Pellice.
La mattina esco dalla mia tana ( sacco a pelo ) molto prima che sia necessario. E' ancora l'alba e quando faccio così vuol dire che mi sento bene ed ho una gran voglia di "menar le mani ". Non vedo l'ora di partire ma , visto che è ancora presto, riassetto tutte le mie cose e preparo i bagagli da cosegnare con calma, per aver poi così poi il tempo di dedicarmi a ricontrollare la bici e fare un abbondante colazione. Il cielo è terso e si vede che probabilmente oggi farà un bel caldo. la cosa non mi dispiace affatto.
La mattina si susseguono le partenze.Sdraiato all'ombra di alcuni alberi aspetto il mio turno . Che non sarà immediato .
Anzi partirò fra gli ultimi perchè, nonostante tutte le tribolazioni dei giorni scorsi alla fine sono riuscito comunque ad attestarmi nella ottava posizione della classifica assoluta. Per cui sarò fra gli ultimi a partire. I primi dieci della generale partono uno alla volta distanziati a due minuti. Quando tocca a me sono quasi le undici del mattino. Il nono in classifica è gia un pezzo avanti lungo i primi km d'asfalto a salire che fanno parte della speciale che inizia da subito. Adattatomi a giorni di bici mezzo frenata e sgangherata mi sembra ora gia dalle prime pedalate di stare su di di un oggetto magico. Qualsiasi rapporto metta in salita mi sembra incredibilmente agile e leggero. Che non sia un impressione me lo conferma il fatto che riprendo subito chi è partito prima di me e lo supero a velocità doppia che siamo ancora nei primi tratti in asfalto. La scena si ripete all'infinito lungo gli strappi in salita e nei tornanti che ci portano di valle in valle. In breve raggiungo superando di slancio tutti i concorrenti. Spendo un sacco di fiato in saluti, ma daltronde mi sembra inelegante passarli così di fretta senza un saluto o una parola di incoraggiamento.Arrivo nel punto più alto della speciale dove vi è il ristoro che non degno di uno sguardo. Insisto anche nei successivi tornanti in discesa facendo attenzione a non rompere qualcosa. Aver la bici finalmente in ordine mi da fiducia e sicurezza e non sento fatica alcuna. Le strade ora a scendere ora a salire sono tutte pedalabili a rapporto come piace a me.
Sembra che finalmente tutto vada per il meglio ma l'imprevisto, ovvero la sfiga che mi perseguita si materializza all'improvviso. Una botta con qualcosa e il copertone davanti si ritrova con uno sbrago laterale di alcuni cm.
Mentre mi dò da fare il più velocemente possibile per risolvere la cosa sicuramente vengono giù tutti i santi del paradiso dalle bestemmie in sardo che urlo a pieni polmoni. Il fatto è che non ne posso più... Una coppia di anziani escursionisti che stà nei paraggi si defila rapidamente....
Dal mio kit d'emergenza tiro fuori un pezzo di gomma che incollo con il cianocrilato ( attak ) nella parte interna del copertone. Nel 2001 mi accadde una cosa simile e riparai al volo il pneumatico inserendoci dentro un pò di banconote che si comportarono benissimo... Altri tempi quelli, ora con il caro euro non è più come con le vecchie care mille lire..., Riparto finalmente dopo aver messo una camera d'aria. E mi accorgo di quanto tempo sia rimasto fermo contando l'incredibile numero di concorrenti che mi tocca ripassare. Sembra che non debbano finire più eppure certi li avevo staccati da tantissimo. Alla fine della speciale trovo Sella di fianco ai cronometristi. Mi fa un cenno di assenso vedendomi arrivare così presto.Tolgo dallo zainetto la camera squarciata e gli racconto per sommi capi le disavventure passate. Nonostante queste ho comunque staccato il terzo miglior tempo. Peccato, questa tappa la si poteva vincere .
Pensavo di aver pagato anche oggi un buon pedaggio alla malasorte ma i guai, quelli veri dovevano ancora venire. E non tarderanno mica. Appena ripartito mi sento strano e affaticato. Quel che ci aspetta ora è un trasferimento di una decina di km . che ci porterà al via della seconda prova speciale che però è tutta in discesa. Dopodichè la tappa sarà praticamente conclusa, con l'arrivo finale a Torre Pellice. Ma un malessere generale con nausea e conati di vomito mi costringono di procedere a piedi, con la bici di fianco lungo la stradina in piano. Dopo un pò vomito tutta l'acqua bevuta a fine prova e vengo assalito da tremori per me insoliti. Non mi era mai capitata una cosa del genere .Lo sapevo che non dovevo bere nell'abbeveratoio per le bestie della baita che stava a fianco dei cronometristi.. Mi metto da parte e decido di stendermi per terra per un quarto d'ora sperando che questa condizione migliori.Di fatto però rimngo come vuoto e privo di forze. Una forte nausea mi attanaglia e basta che solo beva poche gocce d'acqua dalla borraccia perchè mi senta male. Sono completamente disidratato eppure non riesco a bere.
Vorrei avere la forza di fare quei pochi km di trasferimento fino alla seconda Prova. Poi , una volta in discesa, per forza di inerzia arriverei comunque a fondo valle.
Invece non ci sarà niente da fare.
Senza stare a descrivere quello che ho passato nelle ore successive (che spero di dimenticare al più presto perchè ciò mi provoca ancor oggi un ineffrenabile giramento di c.... ) in breve sarò raccattato via dall'organizzazione e affidato alle cure di due infermiere della croce rossa ( bella fine... ). Il conseguente ritiro mi costerà la bellezza di 20.000 punti di penalizzazione. Addio a sogni di gloria. Nella classifica generale finisco di colpo scaraventato fra i dannati dell'Iron Bike... .
Il campo di Torre Pellice è sistemato nell'ampia struttura sportiva coperta che è l'impianto di pattinaggio su ghiaccio.Il fondo che durante la stagione attiva è ricoperto di ghiaccio ora è una liscia superficie ricoperta da uno spesso strato di polvere biancastra, probabilmente gesso, o calce. Fatto sta che ad appoggiarti o a metter le cose per terra ti riduci subito uno schifo.Sta ormai facendo buio e i miei bagagli sono solitari al centro di uno spiazzo. Tutti da tempo hanno ritirato i loro e montato le tende.Finalmente mi sta tornando la fame. E' un buon segno che non bisogna trascurare : un concorrente che era seduto in una panca e mangiava da un piatto strapieno di tutto molla la cena perchè richiamato da degli amici per un qualcosa, Mentre lui si volta io afferro il piatto incustodito e in men che non si dica scaravento tutto il contenuto dentro lo stomaco con poche possenti cucchiaiate. Poi mi attacco a una bottiglia d'acqua e la prosciugo in un batter d'occhhio. Di li a poco comincio a star meglio.
Mi rimonto poi la tenda e , visto che sulla bici stavolta non ho proprio nulla da fare mi incammino per andar a cercare le doccie visto che voci incontrollate assicurano fornite d'acqua calda e abbondante.La leggenda dell'acqua calda colpisce ancora : mi ritrovo sotto un getto d'acqua gelata ma penso che non sia possibile che mi possano venire due congestioni nello stesso giorno per cui non ci faccio molto caso.Quindi ceno nell'ampia palestra con tutti gli altri e poi mi distendo presto nella la mia tenda : Ora che stò nuovamente bene sono turbato da un irrefrenabile giramento di scatole per quanto accaduto in giornata per cui decido per oggi di darci un taglio. Vedremo domani.
Quinta tappa : Torre Pellice -Pragelato
La tappa in questione sarà senza storia. Trattasi di un lungo entourage di oltre 100 km con dentro tre lunghe salite, di cui due fotocopia lunghe una dozzina di km. l'una. La prima perlomeno per me sarà un pò ravvivata dal fatto che raggiungerò sempre in corsia di sorpasso la quarantina di bikers che sono partiti prima di me. Poi sarò davanti solitario fino alla fine. La giornata e calda e le salite monotone. Si passa di valle in valle su abulici sterrati che spesso degenarano pure in brutti asfalti di montagna. ( a proposito lo sapete che in Sardegna grazie a Soru e al nostro movimento : asfalto no grazie è stata approvata la legge che vieta esplicitamente l'uso di asfalti e cementi nelle strade rurali e di montagna ? ). Si scende in picchiata giù nelle valli senza dare un colpo di pedale e con i freni che surriscaldano. Quando poi inizia la salita non c'è che mettersi a contare il lento scorrere dei km.Unici compagni, le mosche e gli insetti che vista la ridicola velocità di risalita non hanno nessuna difficoltà a starti appicicati a succhiarti il sudore.Comunque qualche imprevisto riesco ad averlo anche in questa tappa. Alla fine della penultima salita , mentre pedalo a 10 all'ora uno strano scricchiolio comincia a venir fuori da sotto la scarpa destra. Un rapido controllo e ..Ti pareva... il pedale si è rotto a livello di un cuscinetto. Se forzo ancora rimarrò a far potenziamento alla gamba sinistra. Termino la salita con la scarpa destra sganciata e nella sucessiva discesa dò uno sguardo ai km. mancanti per concludere.Sono ancora una trentina.La fortuna mi arride presso il paese a valle. Trovo Paolo Grassero che ritiratosi alcune tappe precedenti stà comunque seguendo la gara in bici. Senza perder tempo ci scambiamo pedali e relative scarpe ed è così che arriverò senza problemi a Pragelato, giusto in tempo per evitare il diluvio universale che invece si prenderanno tutti gli altri partecipanti.L'ottava posizione di giornata mi farà arrivare dalla 52 in cui ero finito ieri alla 30.
Si, lo so che non è un gran che ma per come stanno finendo le cose, bisogna accontentarsi anche così.
sesta e settima tappa.
Lo Chaberton
A Pragelato comincia a piovere e tirar vento. Mentre fa buio tutti cercano di trovar riparo chi nelle tende chi in alloggi di fortuna. Personalmente, ad intuito vado a scovar un pertugio che rendo un pò accogliente liberando un angolo di un ripostiglio da blatte scarafaggi e cianfrusaglie varie.stendo il sacco a pelo fra pile di casse vuote e mi adopero a sistemare le mie cose tutto intorno.Ceniamo sotto un tendone tutto scosso dagli scrosci di pioggia che viene giù copiosa.
Sella poi ci fa il breafing per spiegarci la tappa del giorno dopo.Questa si dovrà snodare per poco più di una settantina di Km. Però vi è dentro una speciale che porta dritti sullo Chaberton. Solo a nominare questa montagna vedo intorno faccie serie e truci. Non conosco questa zona e chiedo numi a uno che mi stà di fianco : dagli irripetibili scongiuri che fa sembra abbastanza informato . "L'anno scorso mi sono spellato i piedi maledizione, ho portato la bici in spalla per alcune ore, bisogna salire a più di 3.000 metri e devi farlo su di un sentiero franato che non ci salgono più neppure i muli... domani poi, se fa questo tempo e ci fanno andare lo stesso siamo tutti spacciati... Giraudo daltronde sarebbe capacissimo di spedirci lassù anche nevicando..."
Quando Pipino Sella parte a descrivre la salita dello Chaberton è però chiarissimo : il tempo per domani è previsto al brutto ,se le condizioni non sono accettabili a costo di mettermi io di traverso all'inizio della speciale,nessuno salirà su quella montagna, di pian dei morti ce ne basta uno...
Il pian dei morti, verrò poi a sapere è una zona posta a metà strada dalla vetta.Ora vi è il confine fra Italia e Francia. Venne chiamata così perchè un intero distaccamento di soldati francesi vi perì per il freddo durante la guerra fra la repubblica francese e il regno di Sardegna (1795-1796 ). Lo Chaberton e il relativo forte posto in vetta alla fine dell'ultimo conflitto sono passati alla Francia , ponendo così fine alle vicissitudini che hanno caratterizzato per mezzo secolo la montagna,considerata strategicamente essenziale dai militari del secolo scorso.La strada che dovremo percorrere come speciale fino in vetta nasce da un progetto italiano di fine ottocento che molto allarmò i confinanti transalpini. Infatti la costruzione di un forte posto a tremila metri avrebbe creato un grande pericolo per Briacon e tutta la linea difensiva francese. Occorre ricordare che ai quei tempi l'italia era alleata dell'Austria e della Germania ( triplice alleanza ) per cui la Francia era un potenziale nemico.Con una strada di circa 13 km. larga un metro e mezzo e con pendenze anche del 22% intorno al 1897 fu costruito il Forte ma quando si decise di portarvi i pesanti cannoni a lunga gittata ci si accorse che nella parte finale il percorso era troppo impervio e ripido. Le soluzioni erano due : o si mettevano cannoni più piccoli o si modificava la strada.
Si modificò la strada. Nel tratto finale i tornanti vennero allungati e le pendenze del 22% furono ridotte al 15%.I cannoni lunghi oltre 7 metri poterono finalmente essere messi in postazione, con grande apprensione dei francesi. Si era ormai nel 1905 ma di li a una decina d'anni, con il mutar delle condizioni politiche e l'inizio della guerra a fianco dei francesi i cannoni furon smontati e rispediti verso il fronte orientale.
Occorrerà attendere i bellicosi proclami di Mussolini che negli anni trenta promette Nizza presto italiana per rivedere italiani e francesi riarmarsi contro.
Ovviamente sullo Chaberton furono riposizionati i cannoni ma intanto i francesi non erano rimasti con le mani in mano. In gran segreto e senza che dall'altra parte si sospettasse nulla si presero le adeguate contromisure.Ben defilati dietro una montagna, in localitàpoet-Morand furono collocati i micidiali mortai Snheider da 280.
Quando l'Italia dichiarò guerra alla Francia , i piani di tiro per demolire il forte erano già pronti. Il 21 di giugno del 1940 un primo colpo fu lanciato verso lo Chaberton. i calcoli a tavolino si rivelarono molto precisi : il grosso proiettile da 280, sparato dai mortai Shneider arrivò con la sua traiettoria pochi metri in alto dalle postazioni, quindi , superata la vetta ricadde giù nella sua corsa finale nel fondo valle opposto. Il conseguente impatto creò un cratere profondissimo, come fosse caduta una meteorite. Questa la mia impressione quando ci passerò di fianco lungo il sentiero percorso durante l'ultima tappa.
I francesi avevano previsto di annientare a cannonate l'intera guarnigione .Gli artiglieri della 515 batteria rimasero al loro posto cercando di controbattere con le loro artiglierie il fuoco di un nemico che però non si riusciva neppure a visualizzare.
Gli Uomini su in vetta erano ben consapevoli di essere vittime predestinate di un attacco che non era possibile controbattere senza artiglierie a tiro curvo, che nello Chaberton non esistevano.
Alla fine della sera del 21 giugno del 1940, accadde l'ineluttabile. Il forte finì per l'essere centrato da una salva di colpi ben assestati e quasi tutte le batterie furono distrutte.
Molti artiglieri del 515 morirono sui loro pezzi, e diversi rimasero feriti.
Nondimeno, con i pochi cannoni superstiti dallo Chaberton si continuava, solo per orgoglio e per coraggio, a sparare.... (testimonianza resa da parte di un ufficiale d'artiglieria francese a riconoscimento dell'abnegazione dimostrata dai soldati dello sfortunato presidio italiano.)
Come strumento militare strada e forte finirono lì la loro carriera.Nel 1947 la zona divenne francese e nel 1957 tutti gli armamemnti e le sovrastrutture metalliche vennero smantellate. sarà nel corso dei sucessivi 50 anni che questa zona riprenderà nuovo valore., questa volta naturalistico e turistico.
continua...